Da Magnatum (lat.) = dei magnati (Pico, 1788)
Nome volgare: tartufo bianco pregiato
CARPOFORO: può avere forma rotonda, lobata, con cavità, sinuosa, in relazione ai vari tipi di terrreno in cui viene a formarsi
PERIDIO: superficie liscia, di colore giallastro tra l’ocra e l’olivastro
GLEBA: biacno giallastra con toni nocciola o marroncini, sono sempre presetni venature piancastre che si anastomizzano tra loro conferendo alla greba un aspetto marezzato
SAPORE: molto gustoso e tipico, può ricordare quello del formaggio grana
PIANTE SIMBIONTI: farnia, rovere, roverella, cerro, tiglio, pioppo nero,pioppo bianco, salicone, salice bianco, salice da vimini, carpino nero, nocciolo
Ecologia del Tuber magnatum
Le esigenze ecologiche del tartufo bianco pregiato, che si sviluppa solo in Italia ed in una piccola zona in Iugoslava, l’Istria, sono state studiate nelle due aree tipicamente produttrici e sufficientemente estese: la zona piemontese (Montacchini e Caramiello, 1968) e la zona appenninica del Centro Italia (Tocci, 1985). Queste ricerche, alle quali si rimanda per maggiori approfondimenti, hanno permesso di evidenziare i parametri che caratterizzano l’ambiente del Tuber magnatum e di definire i caratteri delle aree ecologicamente adatte per una sua coltivazione. Il terreno delle tartufaie naturali di Tuber magnatum, in Piemonte come nell’Italia centrale, deriva da un substrato litologico abbastanza omogeneo costituito da arenarie (substrato con notevole quantità di sabbia rinsaldata da sostanza cementante), marne (substrato in cui calcare ed argilla sono nella stessa quantità), calcari marnosi (in cui la percentuale dei carbonato di calcio prevale sull‘argilla), marne argillose (in cui l’argilla predomina sul carbonato di calcio) facilmente erodibili, dell‘era Terziaria, soprattutto dei Miocene e dei Pliocene, ed a volte dell’era Quaternaria, Pleistocene ed Olocene. I terreni colluviai ed eluviali che si sono originati da queste formazioni rocciose sono talora poco evoluti o ringiovaniti dalle erosioni la presenza di zone con roccia madre affiorante, di calanchi e di un rilievo notevolmente accidentato con dossi e vallecole in rapida successione, è una costante dei paesaggio a Tuber magnatum. Questi suoli sono in genere poco profondi, dei tipo redzina altre volte più profondi e più evoluti, dei tipo delle terre bruno-calcaree. Il Tuber magnatum è in grado di svilupparsi in una ristretta gamma di condizioni chimico-fisiche del suolo, prediligendo determinati pedoambienti (Elisei e Zazzi, 1985), Dal punto di vista granulometrico questi terreni tartufigeni sono per lo più a tessitura franca, cioè con le tre frazioni granulometriche (sabbia-limo-argilla) ben distribuite. Tuttavia mentre nei terreni tartufigeni piemontesi la tessitura prevalente è franca e franco-limosa, con una reazione neutra (pH=7), nel centro Italia la maggioranza dei terreni presenta una tessitura franco-sabbiosa e franco-sabbiosa-argillosa con reazione sub-alcalina (pH=8). I dati sul calcare totale (CaCO3) presentano variazioni abbastanza rilevanti a seconda del le località (dall’ 1% al 67% ), dovute alle diverse condizioni ambientali ed al tipo di suolo (calcari arenaci, marne, calcare marnosi, arenarie, etc..
Nel primo caso, 1% , si tratta di zone esposte a forte dilavamento e con scarsa copertura vegetale mentre nei secondo caso, 67%, la situazione è opposta. In genere il contenuto medio del calcare totale nei terreni a Tuber magnatum oscilla intorno al 20%-25 % denunciando quindi una buona dotazione di tale elemento Montacchini e Caramiello. 1968; Elisei e Zazzi, 1985). La sostanza organica anche in modeste quantità, riesce, in questi terreni in prevalenza sabbiosi, drenati e soffici, scarsamente provvisti di colloidi minerali, ad assicurare la coesione fra le particelle primarie grossolane e a dare unità strutturale stabile mantenendo buona la porosità dei suolo e costituendo una riserva di elementi fertilizzanti assimilabili. Il contenuto di humus ha un valore medio oscillante intorno ai 3% che rappresenta una dotazione non trascurabile, il rapporto C/N assume valori medi globali intorno a 10. Il valore dell’azoto totale, fortemente presente nella composizione chimica dei tartufo, si aggira sullo 0,2% di sostanza secca. Dai risultati di Montacchini e Caramiello (1968) per le zone piemontesi emerge che l’azoto nitrico è carente sia perché questi terreni sono molto permeabili negli strati superficiali e l‘azoto nitrico è estremamente dilavabile, sia perché non vi è la possibilità di un buon rendimento di microorganismi fissatori di azoto per la scarsità di una copertura di leguminose. I valori del fosforo totale come di quello assimilabile, espresso ppm (parti per milione), risultano estremamente bassi, e sono rispettivamente di 4 ppm e 45-55 ppm: del resto si tratta di terreni derivati da rocce madri povere di fosfati. In relazione alla composizione del complesso di scambio si può dire che i rapporti calcio, magnesio e potassio sono abbastanza costanti in questi tipi di suolo ove il calcio rappresenta il 70-80% delle basi rilevate. E da tener presente che il calcio appare come costituente essenziale per Io sviluppo dei micelio fungino. Il micelio nel caso dei tartufo bianco non dà segni apprezzabili del la sua presenza: infatti le tartufaie naturali di Tuber magnatum appaiono ricche di arbusti ed uniformemente inerbite come dimostra la fitta copertura erbacea di brachipodio, e sono prive di quelle ‘‘aree bruciate’’ tipiche di altri tartufi come Tuber melanosporum e Tuber aestivum. Un ulteriore approfondimento delle ricerche ecologiche sui terreni delle tartufaie di Tuber magnatum ha evidenziato la presenza di altri funghi micorrizici con le medesime esigenze ecologiche del tartufo bianco di cui alcuni possono essere agguerriti concorrenti (Giovannetti, 1983), altri indicatori di condizioni favorevoli o sfavorevoli alla persistenza del la micorrizia. Il Tuber magnatum è un tartufo che presenta, in Italia un areale di diffusione piuttosto ampio che dal Piemonte raggiunge il Molise seguendo la dorsale alto appenninica. Il suo limite nord è segnato da un clima che tende a divenire sempre più continentale, il suo limite sud da un clima che tende a divenire sempre più mediterraneo. Precisamente, secondo la classificazione ecologica di Giacobbe, il ‘Tuber magnatum rientrerebbe in parte nel la biocora sub-continentale con l’orizzonte del Quercetum Padanum (Piemonte), in parte nel la biocora sub-mediterranea con ‘orizzonte del Quercetum AemiIianum pedemontanum ( Liguria, Emilia, Toscana, Marche), spingendosi fino alle zone con mediterraneità più accentuata (Umbria, Abruzzo, Molise)”. Lo sviluppo del tartufo bianco è strettamente legato alle condizioni termo-pluviometriche. In particolare si è osservato che nelle zone di produzione naturale si ha una buona distribuzione delle piogge durante tutto l’anno. Dalla rappresentazione grafica dei regimi termici e pluviometrici, attraverso diagrammi climatici di Bagnouls e Gaussen, si ha la conferma che il clima delle varie zone produttive non presenta mai caratteristiche di aridità estiva. infatti la curva delle precipitazioni non scende mai sotto quella delle temperature e la pioggia estiva in genere corrisponde ad un quarto di quella annua (Tocci, 1985). Controllando la produzione dei corpi fruttiferi, sulla base di un quantitativo medio pro-capite in un periodo compreso fra il 1970 ed il 1990, e l’andamento delle componenti fondamentali del clima della zona considerata, risulta che esiste una correlazione molto significati va fra la pioggia estiva (mese di giugno e luglio) e la produzione dei tartufi. Ad esempio, mentre nel 1986, anno a clima sub-continentale senza aridità estiva, si è verificata una produzione più che abbondante, nel 1965, anno caratterizzato da un clima spiccatamente mediterraneo con aridità estiva, la produzione è stata molto scarsa, ad ulteriore conferma che il tartufo bianco è un elemento mesoigrofilo (Tocci, 1985).
Le prime indicazioni che emergono dalle indagini nelle tartufaie naturali sui fattori come vento, umidità dell’aria e temperatura del suolo, che caratterizzano il microclima favorevole alla vita del micelio di questo fungo ipogeo sono le seguenti: l’umidità relativa ha valori medi costanti durante tutto l’arco dell’ anno ed oscillanti intorno il 60-70 %: la quantità di calore al suolo ha un andamento stagionale che poco si discosta da duello della temperatura dell’ aria, tranne che nel periodo vegetativo e ad una profondità di 30 cm in cui è relativamente inferiore. Per quanto riguarda i venti, anche se è prematuro dare dei giudizi sulla loro influenza, si registrano le maggiori frequenze per i venti settentrionali durante il periodo invernale-primaverile e per i venti meridionali in quello estivo-invernale (Tocci, 1985). Il Tuber magnatum vegeta e Fruttifica in una varietà di ambienti dal livello dei mare fino a 1000 m di altitudine, nelle esposizioni più diverse pur in condizioni di identica altimetria ed in ogni tipo di pendenza. Tuttavia le tartufaie si localizzano di preferenza nei fondo valle freschi e lungo i fossati in una fascia altimetrica ottimale da 100 a 600 m. Anche dal punto di vista della vegetazione le stazioni in cui si trova il Tuber magnatum sono molto varie, comprese fra la sottozona fredda del Lauretum e la sottozona calda del Fagetum anche se la zona a maggior produzione resta quel la dei Castanetum di Pavari. In Piemonte ( Montacchini e Caramiello, 1968) le zone produttrici di questo tartufo sono per la massima parte caratterizzate si boschi artificiali di pioppo, da filari di pioppo e salice lungo le sponde di corsi d’acqua, da filari di tigli posti lungo le strade (caratteristiche proprie anche del le tartufaie naturali del Veneto) e solo raramente da boschi misti subspontanei. Nel centro Italia invece il Tuber magnatum trova il suo optimum proprio nei boschi naturali misti di latifoglie caduche (Tocci, 1985). In questi ambienti le tartufaie naturali si trovano all’interno o al margine del bosco ceduo misto, come anche al margine di strisce di vegetazione profonde qualche decina di metri, residuo di bosco preesistente alla trasformazione in terreno agrario. Spesso le tartufaie sono presenti in corrispondenza di piante secolari nel mezzo di coltivi o della vegetazione delle zone umide, delle vallecole e dei fossati. Nelle sue zone di diffusione il Tuber magnatum si lega in simbiosi con diverse specie forestali a seconda dell’ambiente e della conformazione orografica: esso infatti si associa in prevalenza con roverella (Quercus pubescens), cerro (Quercus cerris) e carpino nero (Ostria carpinifolia) nelle zone collinari; con farnia (Quercus peduncolata), tigli (Tilia cordata, Tilia platiphyllos, Tilia x vulgaris) e nocciolo (Corylus avellana) nei terreni profondi di pianura; coi pioppi (Populus alba, Populus nigra, Populus tremula) e con i salici (Salix alba, Salix caprea, Salix viminalis) nei fondovalle e lungo i fossati. Una caratteristica che accomuna le stazioni di produzione del tartufo bianco è la presenza quasi costante di una serie di arbusti: sanguinella (Cornus sanguinea), nocciolo (Corylus avellana), rosa selvatica (Rosa canina), vitalba (Clematis viralba), ginepro comune (Juniperus communis), prugnolo (Prunus spinosa), rovo (Rubus fruricosus), ginestra (Spartium junceutn), biancospino (Crataegus monogyna) e sambuco (Sambucus nigra); e di varie erbe: falasco (Brachypodium sylvaticum), lampone selvatico (Rubus caesius), tarassaco (Taraxacum officinale), parietaria (Parietaria offìcinalis), farfaraccio (Tassifago Jhtfara), primula (Primula acaulis), viola (Viola odorata), euforbia (Euphorbia dulcis), ortica (Urtica dioica) e ranuncolo (Ranunculus ficaria). Tutte le stazioni ove vegeta il tartufo bianco pregiato hanno una elevata percentuale (spettro biologico) di specie proprie di terreni non soggetti a lunghi periodi di disseccamento (emicriptofite) poiché queste piante non sopportano le siccità prolungate; infatti il Tuber magnatum predilige un ambiente fresco durante tutto l’arco dell’anno e soprattutto durante l’estate. I tempi ed i modi di fruttifìcazione del Tuber magnatum sono diversi. Il suo ciclo di fruttificazione raggiunge le punte più elevate quando la temperatura media è al di sotto dei 10°C (elemento mesoigrofilo-microtermo) benché vi sia una precoce produzione a fine estate. La prima produzione è molto superficiale, con carpofori parzialmente fuori terra, di scarso profumo, larvati, poco adatti al consumo ed alla conservazione in quanto marciscono in fretta, ma importantissimi per la riproduzione della specie. Il grosso della fruttificazione avviene in autunno quando ha luogo una produzione di corpi fruttiferi ben maturi, profumati, ben conservabili e dalle ottime caratteristiche organolettiche. Solo raramente ed in dipendenza dell’ andamento stagionale, è possibile trovare fruttificazioni tardive nei mesi di gennaio e febbraio; si tratta di esemplari di dimensioni minime, spesso con gleba biancastra ed emananti un intenso odore agliaceo (Zambonelli, 1984).
Il corpo fruttifero del Tuber magnatum, localizzato mediamente a 20-30 cm di profondità, è di norma isolato; a volte invece si possono trovare esemplari di grosse dimensioni, formati da tanti singoli carpofori che si sono saldati insieme in un unico agglomerato. Ciò che nella produzione dei tartufi bianchi pregiati sbalordisce è la precisione quasi millimetrica con cui ogni anno, se le condizioni lo permettono, il corpo fruttifero si riforma nello stesso identico punto. Nelle tartufaie naturali di Tuber magnatum sono particolarmente diffuse numerose specie di Ascomiceti ipogei ed in particolare Tuber macrosporum, Tuber albidum, Tuber rufum, Tuber excavatum, Tuber foetidum, Genea verrucosa e Balsamia vulgaris. Un recente studio effettuato sulle tartufaie naturali e coltivate di Tuber magnatum (Gregori et al., 1988) oltre a caratterizzare le varie forme ectomicorriziche presenti ed in equilibrio con quelle di tartufo bianco, ha evidenziato forme micorriziche “cardine”, indicatrici di condizioni favorevoli o sfavorevoli alla persistenza della micorrizia di Tuber magnatum. La disponibilità di un test di diagnosi precoce, mediante l’individuazione di simbionti “cardine” che rivelino la tendenza verso cui sta evolvendo una tartufaia di tartufo bianco pregiato consentirebbe interventi mirati e tempestivi, tali da correggere eventuali transizioni ad esso sfavorevoli, soprattutto in presenza di funghi micorrizici antagonisti con le medesime esigenze ecologiche del Tuber magnatum.
(Foto Gabriella Di Massimo)