Potatura
Nei primi anni la potatura serve ad impostare la struttura delle chiome: è fondamentale che la forma sia tale da non ostacolare l’esecuzione delle cure colturali (in particolare il passaggio dei mezzi agricoli) e delle pratiche irrigue se previste. La densità di copertura ottimale, per la produzione di corpi fruttiferi, non si ottiene tuttavia con interventi di potatura, ma con il dirado, eliminando totalmente delle piante al chiudersi della compagine.
T.melanosporum: La maggior parte dei tecnici consiglia una potatura di formazione a cono rovesciato. Questa modalità di potatura vale soprattutto nelle stazioni dove l’insolazione è maggiore. Nel caso di piante arboree, man mano che si innalza la chioma, oltre alle potature laterali (che favoriscono le lavorazioni e l’accesso di luce al suolo), occorrerà provvedere alla cimatura per favorire l’impalcatura e l’apertura della chioma. Nelle stazioni più settentrionali tuttavia l’afflusso di luce e calore al suolo è favorito con impalcatura alta e minor apertura della chioma, per cui in Veneto si ritiene che potature drastiche non siano raccomandabili, curandosi invece l’agibilità del passaggio e la formazione di una chioma equilibrata, cercando di contenerne la densità e il diametro dei palchi inferiori, che potrebbero ombreggiare eccessivamente. Sulle assolate pendici del sud un minimo di ombreggiatura può tuttavia essere favorevole anche nei nostri climi, soprattutto considerando l’andamento delle ultime estati, calde ed asciutte. Gli interventi sono normalmente eseguiti a fine inverno, subito prima della ripresa vegetativa, cercando di contenere la percentuale di chioma asportata entro il 30% circa e non di più; per ridurre gli effetti traumatici dell’operazione l’ideale è una frequenza annuale, tuttavia anche interventi biennali possono essere sufficienti soprattutto con specie di accrescimento lento, talora anche per limiti ambientali. Il caso dei noccioli è particolare, in quanto si tratta di piante di dimensioni inferiori e di solito con portamento policormico si consiglia di trattare l’insieme delle chiome come un tutt’uno.
T.aestivum Le potature sono limitate strettamente alla correzione di eventuali difetti. Si consiglia di eseguire potature più incisive solo nel caso in cui si voglia ringiovanire la tartufaia. Nel caso del nocciolo, la riduzione dei polloni è da eseguirsi con cautela: le sperimentazioni in corso e le indicazioni fornite dai tartuficoltori confermano che il dirado dei polloni è controproducente. Per quanto riguarda le piantagioni a duplice attitudine (nocciola e tartufo) non si posseggono ancora informazioni sufficienti; sono in fase di studio alcuni impianti sperimentali.
Concimazioni e ammendamenti
La necessità di concimazione dipende dalle caratteristiche del suolo: sono assolutamente da evitare nei casi in cui il terreno è sicuramente idoneo; da valutare con cautela negli altri casi. Forniamo di seguito alcune indicazioni per i tartufi. È noto che la disponibilità in Calcio e l’alta precentuale di calcare attivo sono fattori favorevoli alla fruttificazione dei tartufi. Sono pertanto consigliate concimazioni con Calcio per mantenere il pH elevato, per i terreni che hanno una bassa dotazione di Calcio e nei casi di invadenza da parte del Tuber brumale.
Le concimazioni vanno comunque valutate con il tecnico in quanto sono molteplici le composizizoni chiniche dei concimi e spesso sono presenti di sali da cloruro che vanno esclusi assolutamente.
Gli ammendamenti con carbonato di calcio, sono invece molto favorevoli alla tartuficoltura, in alcuni casi l’intervento consigliato consiste in calcitazioni con ” Brecciolino da Tartuficoltura” (per informazioni contattateci), nella dose da concordare col tecnico, da spargere sul terreno durante ante impianto (oppure la fase di riposo della tartufaia coltivata gia produttiva). Attraverso questa pratica è stato possibile ottenere risultati su tartufaie da anni improduttive, con il ripristino della produzione e l’aumento della stessa
Per quanto riguarda la gestione fitosanitaria delle piante in presenza di particolari patogeni vale la regola di non utilizzare mai prodotti endoterapici come sistemici e citotropici che potrebbero compromettere irreparabilmente la simbiosi instauratasi nel corso del tempo tra pianta e fungo. Si consiglia quindi di contattare il tecnico per un sopralluogo.
Lavorazione del suolo
La lavorazione del suolo nei primi anni serve ad evitare la concorrenza delle erbe infestanti. Negli anni successivi, la necessità di eseguire le lavorazioni nell’area intorno alla pianta varia in funzione della specie fungina; per i tartufi il movimento del terreno è generalmente ritenuto favorevole. La natura del suolo influenza il tipo di attrezzo utilizzato: per suoli molto ciottolosi non possono essere impiegati gli erpici a dischi; nel caso di suoli pesanti, è bene evitare l’uso di attrezzi che possano causare costipamento negli strati profondi (formazione della cosiddetta suola di lavorazione). L’attrezzo maggiormente usato è l’erpice a denti fissi, dotato di una piccola aletta ripuntatrice, che evita la formazione di soletta e può essere utilizzato in qualsiasi tipo di terreno. Una buona norma agronomica è quella di eseguire le lavorazioni in tempera, evitando il calpestio in condizioni di umidità. Solitamente si adotta una profondità di lavorazione di non oltre dieci centimetri, massimo 15, cercando di mantenere la profondità adottata nei primi anni nel tempo. Soprattutto nella zona di esplorazione e di accrescimento delle radici (corrisponde con l’area limitrofa al pianello) una lavorazione più profonda comporta il rischio di approfondimento eccessivo dell’apparato radicale o la rottura di radici grandi, compromettendo la diffusione delle micorrize, a meno che non sia stata adottata sin dai primi anni. Alcuni modelli di erpici sono dotati di accorgimenti che riducono il rischio di rottura delle radici più grandi: i denti sono elastici o fissati con delle molle. Pur se i parerei non sono concordi, delle lavorazioni più profonde, eseguite con ripuntatura mediante ripper a 25-40 centimetri di profondità (non su tutta la superficie uniformemente ma lungo linee studiate per rispettare parte del suolo e le radici principali) si sono rivelate molto interessanti su alcune tartufaie di tartufo bianco. Questo tipo di lavorazione meriterebbe quindi di essere sperimentato anche in altre località e con differenti tartufi quando si manifestino segni di stanchezza e caduta della produzione. L’epoca delle lavorazioni è fine inverno, inizio primavera, ma anche in questo caso generalizzare sarebbe errato, in stretta collaborazione con un nostro tecnico andranno valutate attentamente periodo e modalità di lavorazione sempre considerando la specie di tartufo messa a dimora. Lavorazioni più tardive contribuiscono a mantenere l’umidità del suolo in estate in quanto interrompono la risalita capillare dell’acqua; si rischia tuttavia di compromettere parte della produzione.
Irrigazione
L’irrigazione di soccorso, perlomeno nel primo anno d’impianto (meglio se nei primi due) è sempre consigliata. Nel caso di estati piovose è superflua. Nelle annate siccitose, dato il valore delle piante e l’importanza dell’anticipazione temporale dell’investimento, l’irrigazione è fondamentale. Per il tartufo nero pregiato si può affermare che l’irrigazione è sempre benefica: permette infatti di ottenere produzioni normali in stagioni di assoluta scarsità, o comunque produzioni maggiori anche in anni relativamente normali. È possibile affermare con certezza che in condizioni di estrema siccità, l’irrigazione può essere l’unico sistema per rendere produttiva la tartufaia: infatti, mentre la micorrizazione può probabilmente resistere a lungo alla carenza idrica, il micelio sicuramente non riesce a produrre corpi fruttiferi.