Raccolta
È la fase maggiormente attesa e rappresenta il segnale del successo. Per le specie precoci quali i noccioli e i carpini i primi corpi fruttiferi si formano normalmente nel quarto-sesto anno dall’impianto (a seconda della specie); tuttavia occorre realisticamente attendere 1 o 2 anni ancora per avere produzioni importanti. Il primo segnale dell’attività della tartufaia è la formazione del pianello o bruciata (ben visibili per il tartufo nero pregiato e l’estivo): queste sono aree dove l’erba non cresce o cresce più rada, per effetto della secrezione di micotossine da parte del micelio del tartufo (marasmina). La comparsa delle bruciature rappresenta quindi un indicatore, precedendo di due o tre anni l’inizio della raccolta.
Foto esemplare di Tartufo nero pregiato raccolto in una tartufaia nel Veronese
Periodi e modalità di raccolta
La legge italiana consente la raccolta dei tartufi solo con l’ausilio di cani addestrati e strumenti appositi. I metodi di ricerca alternativi (con il maiale), sono quindi divenuti illegali. Pertanto, il tartuficoltore all’entrata in produzione della tartufaia, potrà contattarci per chiedere un sopralluogo col cane e verificare la presenza di tartufi oppure dovrà dotarsi di un cane già addestrato o da addestrare personalmente (si ricorda che al di fuori dei periodi prescritti per la raccolta, anche la commercializzazione del prodotto fresco è sanzionata per legge). Si consiglia di non raccogliere i primi tartufi che maturano (fra l’altro la maggior parte è di qualità mediocre), e nemmeno gli ultimi, rispettando le date fissate dai calendari ufficiali al fine di lasciare sempre una certa quantità di tartufi (e quindi di spore) nel suolo; queste, infatti contribuiranno a mantenere le radici micorrizate ed aumenteranno la possibilità di ricombinazione genetica dei miceli. L’apertura delle buche deve essere eseguita con delicatezza, ingrandendo la buca poco a poco onde evitare di danneggiare sia il tartufo (per non deprezzarlo) sia il micelio, che l’anno seguente ci regalerà altri tartufi.
Foto di una giovane tartufaia con pianelli ben visibili
Lavorazione del suolo
Tuber melanosporum o nero pregiato
Per quanto riguarda il tartufo nero pregiato, l’esperienza maturata nelle tartufaie in produzione conferma l’effetto benefico delle lavorazioni sulla fruttificazione. Ecco quali sono i vantaggi:
- Il rimescolamento del suolo ed il suo arieggiamento favoriscono l’umificazione della materia organica e l’immagazzinamento dell’acqua. Le lavorazioni del suolo sono finalizzate ad evitare il compattamento del terreno.
- La lavorazione del suolo può favorire l’approfondimento delle fruttificazioni, e quindi fornire una protezione contro il gelo, fattore non trascurabile nei climi nostri, ma è utile anche contro la siccità estiva.
- La lavorazione del suolo favorisce l’infiltramento delle piogge primaverili ed estive, diminuendo al contempo l’evaporazione per interruzione dei micropori del suolo che permettono la risalta dell’acqua sino alla superficie.
- Nel caso in cui non vengano eseguite le pratiche colturali (lavorazione del suolo e potatura delle piante), l’equilibrio si sposta gradualmente verso un ecosistema maggiormente favorevole al Tuber aestivum e Tuber brumale che se presenti, tendono a sostituirsi al nero pregiato. Tuber aestivum e Tuber brumale prediligono stazioni più umide e si adattano alla presenza di un leggero strato di lettiera e di sostanza organica; la produzione di corpi fruttiferi è in genere più superficiale rispetto al nero dolce.
Lavorazioni meccaniche, si consiglia l’erpicatura regolare del suolo all’inizio della primavera, ovvero al termine della stagione di raccolta. Non è necessario ripetere le lavorazioni più volte durante l’anno, poiché, generalmente, lo sviluppo e la competizione delle piante erbacee durante il periodo estivo è contenuto. Nei casi in cui la vegetazione avventizia cresca vigorosa, soprattutto se la piovosità è abbondante, è opportuno lo sfalcio dell’erba con mezzi leggeri ed il suo allontanamento. Ulteriori lavorazioni estive, oltre al costo aggiuntivo, non potrebbero essere estese alle aree interessate dalle radici, e soprattutto alle aree in produzione, per non danneggiare i tartufi in formazione, per cui ci si limiterà a degli sfalci quando necessario, con asportazione o meno della lettiera. Alcuni tartuficoltori per ridurre l’entità delle recisioni radicali preferiscono eseguire le lavorazioni nello stesso senso. In questo modo si induce la disposizione delle radici secondo l’asse dei passaggi dell’attrezzo, ma negli anni seguenti sarà fondamentale mantenere lo stesso senso della lavorazione.
Lavorazioni manuali; ove non sia possibile eseguire lavorazioni meccaniche, è necessario procedere manualmente secondo con la zappettatura leggera del pianello che deve rimanere contenuta al massimo nei primi 5-10 cm di terreno e ripetuta regolarmente tutti gli anni. In questo modo, l’apparato radicale si mantiene sempre al di sotto della fascia di suolo smossa. La zappettatura è sconsigliata in epoca tardiva, mentre nelle tartufaie a produzione superficiale dovrà eventualmente valutarsi l’utilità per favorire la formazione dei corpi fruttiferi a maggior profondità. Nella fase di mantenimento, l’epoca delle lavorazioni è determinata dal periodo di raccolta in modo da non interferire con il naturale ciclo biologico del tartufo.
Tuber aestivum o scorzone
Per il Tuber aestivum, le opinioni rimangono divise. Le incertezze sulle cure colturali da adottare sono dovute alla discordanza dei risultati ottenuti. Secondo l’attuale stato delle conoscenze, sembra tuttavia che la produttività dello scorzone sia favorita da periodici rimescolamenti del terreno. Il Tuber aestivum, che si adatta agli ambienti ombreggiati e alla presenza di lettiera, sembra comunque poco sensibile. Attualmente la maggior parte delle tartufaie di scorzone non sono soggette alla regolare esecuzione delle operazioni colturali; pertanto, se si desidera iniziare ad eseguire delle lavorazioni è bene tenere presente che:
- le lavorazioni profonde causano notevoli alterazioni della struttura del suolo e perturbazioni radicali che scompensano l’equilibrio nutrizionale. Inoltre gli effetti della lavorazione si manifestano per due o tre anni durante i quali può cessare anche del tutto la produzione della tartufaia;
- lavorazioni eccessivamente superficiali del resto incidono solamente sulla competizione erbacea, con limitato effetto di decomposizione della materia organica.
Il tipo di lavorazione consigliato può indicarsi come l’erpicatura o la sarchiatura superficiale, tuttavia esistono differenti scuole di pensiero sulle modalità e soprattutto per la profondità a cui devono essere eseguite. Si propone, tuttavia, una lavorazione meno intensa che per il nero dolce, usando un erpice con denti più distanziati. Ricordiamo che la natura più o meno sabbiosa, franca o limosa, può richiede degli adeguamenti caso per caso. In alternativa, si può ipotizzare il solo sfalcio dell’erba. Per i terreni non lavorati da lungo tempo, se e solo se la produzione declina, è stata applicata con successo, in alcuni casi, la scarificatura a profondità di 30-40 centimetri. Questo tipo d’intervento, effettuato solo con la supervisione di un tecnico, può essere eventualmente ripetuto a distanza di alcuni anni, in funzione dei segnali di riduzione della fruttificazione o eventualmente ad intervalli più ravvicinati ma con passaggi incrociati, non nelle medesime linee del passaggio precedente. Nella fase di mantenimento, l’epoca delle lavorazioni è determinata dalla fine del periodo di raccolta in modo da non interferire con la comparsa dei primordi dei tartufi. Molti tartuficoltori tuttavia, esitano ad intervenire sui pianelli in produzione, per timore di danneggiare la tartufaia. Le variazioni nella produzione di scorzone sono tuttora difficili da interpretare, in quanto molti ricercatori non sono in grado di stabilire con precisione quanto questi interventi siano influenzati dagli andamenti stagionali. Per questa ragione non è tuttora possibile proporre interventi colturali che permettano di standardizzare la produzione, ma si agisce caso per caso trovando le soluzioni che meglio si adattano alla singola tartufaia.
Si possono intraprendere delle sperimentazioni mirate suddividendo gli appezzamenti in più parti intervenendo in modo differente così da valutare la risposta alle singole lavorazioni e quindi centrare la giusta combinazione, ma onde evitare di perdere anni preziosi è sempre bene affidarsi alla consulenza di un nostro tecnico che ottimizza tempi di ripresa e massimizza le produzioni.
Irrigazione
L’irrigazione permette di assicurare la produzione annuale di tartufi anche nelle annate più siccitose garantendo tartufi di qualità, dimensioni e peso superiore rispetto alle tartufaie naturali.
Tuber melanosporum o nero pregiato
Quantità e tempi
Tenuto conto delle stazioni in cui vive il nero pregiato e gli andamenti climatici, si considera che di norma le esigenze di irrigazione si possono manifestare da metà giugno a fine settembre. In ambiente più mediterraneo è stata segnalata la necessità di intervenire già da maggio in caso di periodi siccitosi prolungati, perché ne patirebbero i primordi in formazione. Le indicazioni di riferimento suggeriscono, in caso di totale assenza di precipitazioni, un apporto di: 25-30 millimetri d’acqua ogni 15 giorni, dalla metà di giugno fino verso la fine di settembre. Gli apporti saranno corretti in funzione delle seguenti caratteristiche pedologiche e climatiche:
- tessitura e composizione del suolo: la quantità di acqua apportata dovrà compensare la presenza o meno di scheletro e la maggiore o minore microporosità del suolo;
- stazioni particolarmente siccitose: viene empiricamente segnalata la necessita di irrigazione anche nel mese di maggio per non pregiudicare gli abbozzi appena formati;
- verificarsi di eventi piovosi che superino i 10-15 mm; precipitazioni minori possono ritenersi trascurabili.
Attenzione a non eccedere con le dosi perché il nero pregiato non desidera ambiente umido e ciò potrebbe sfavorirlo nella competizione con altri funghi simbionti più igrofili come accade spesso con il Tuber brumale. Anche in questo caso è bene affidarsi ad un tecnico di TARTUFAIE per identificare il corretto apporto idrico.
Modalità di irrigazione
Durante la fase di produzione si tende a prediligere la modalità che maggiormente somiglia all’evento naturale: si tratta dell’aspersione a pioggia, eventualmente concentrata sui pianelli per ridurre la quantità necessaria, sfruttando microaspersori che possono funzionare anche con pressioni ridotte.
Tuber aestivum o scorzone
Per lo scorzone, si ritiene che le modalità d’irrigazione possano essere simili a quelle del nero pregiato. Purtroppo, il minor numero d’impianti sperimentali e l’esperienza limitata non permette di valutarlo con sicurezza; è certo che la siccità prolungata influenza negativamente sia la produzione estiva che quella autunnale; non è pertanto da trascurare l’opportunità di un intervento irriguo. Gli apporti irrigui devono tener conto delle precipitazioni, delle caratteristiche pedologiche, e degli ambienti in cui vegeta il tartufo; in linea generale, si consiglia di affidarsi ad un nostro tecnico che saprà consigliare i periodi giusti e le quantità in base all’area geografica in cui è situata la tartufaia.
Potatura
La pratica appare importante soprattutto per il nero pregiato, per le tartufaie di scorzone non si consigliano interventi significativi, preferendo lasciare alla libera evoluzione gli alberi o limitando a potature di indirizzo sempre su consiglio del tecnico che segue la tartufaia. Per le piante destinate alla produzione di nero pregiato, l’ideale sarebbe eseguire la potatura ogni anno per limitare interventi cesori pesanti e conseguenti stress; l’indicazione di non superare mai il 20-30% della chioma pare a nostro avviso congrua, tuttavia si segnala come in più casi, per problemi di disponibilità di tempo, si siano superate tali percentuali senza pregiudizio per la pianta (nel caso noto si tratta del leccio) né per la produzione. A buon senso la potatura dovrebbe essere eseguita al massimo ogni due anni, in modo da evitare stress eccessivi e ferite di difficile cicatrizzazione, sfoltendo gradualmente ed innalzando la chioma per gestire meglio l’ombreggiamento al suolo. Attenzione: in caso di malattie crittogamiche o di presenza dell’agrobatterio si raccomanda di disinfettare gli strumenti di potatura dopo l’intervento sulla una pianta malata; in caso di infestazioni massicce, considerando anche che esistono sensibilità individuali a certi patogeni, può rendersi preferibile allontanare del tutto l’albero molto compromesso piuttosto che mantenerlo in campo con il rischio di trasmettere l’infezione ai restanti.
Concimazioni e ammendamenti
Come già esposto nel sito, la concimazione è di norma sconsigliata. Interventi di concimazione possono essere presi in esame nel caso di problemi difficili da risolvere quali: ritardi nell’entrata in produzione o regressione della stessa, oppure nel caso piante a crescita stentata. Per quanto riguarda gli ammendamenti, si interverrà in concomitanza con le lavorazioni del suolo con del “Brecciolino da Tartuficoltura” (da noi commercializzato) con dosi e tempi concordati con il tecnico, che deciderà in base alle analisi del terreno; si è infatti appurato che in caso di mancate produzioni tale intervento favorisca l’inizio della produzione dei carpofori e non solo, è possibile anche aumentare le produzioni qualora altri sistemi di miglioramento non abbiano avuto successo. Queste pratiche si possono ripetere eventualmente ogni due o tre anni con tempi e modalità da concordare col tecnico che segue la tartufaia sia per spingere la produzione, sia per mantenere valori chimici idonei alla fruttificazione in certi suoli che sarebbero per loro natura a vocazionalità medio-bassa.
Diradamento
È l’operazione più difficile da decidere e da intraprendere per il naturale affetto che lega il proprietario alle piante messe a dimora, ed anche per il timore di sbagliare la scelta. Quando il raccolto di tartufi diminuisce per più anni a causa della densità elevata, si può ricorrere alla tecnica di diradamento; si effettua il taglio degli individui peggiori o sicuramente non produttivi e si capitozzano quelli su cui si è incerti dell’intervento. Questa tecnica da effettuare sotto lo stretto controllo di un tecnico ci permette di ripristinare una pianta di incerta produzione, poiché, nel caso in cui a seguito della capitozzatura cessi la produzione, è possibile recuperare la pianta capitozzata ed eliminare eventualmente quella accanto. È bene ricordare che per il nero pregiato il diradamento deve essere tempestivo, e può essere più proficuo tagliare una pianta produttiva che non lasciare chiudere troppo e troppo a lungo la copertura andando incontro al calo drastico della produzione. Al chiudersi graduale delle chiome, la produzione di tartufi diminuisce progressivamente fino all’esaurimento per il nero pregiato, mentre per lo scorzone la fruttificazione può permanere per diversi anni, ma solitamente a livelli inferiori. Per poter recuperare la tartufaia, sarà necessario fare una selezione iniziale seguiti dal tecnico che ottimizzerà le operazioni e ridurrà al minimo il rischio di errore. Dopo il diradamento potrà essere utile anche un intervento sul suolo, che favorisca l’aerazione degli strati profondi e l’umificazione della sostanza organica accumulatasi. In seguito per verificare la validità dell’intervento si procede all’analisi degli apici radicali per verificare il grado di micorrizazione ottenuto e la specie di tartufo affrancata.
Per quanto riguarda la gestione fitosanitaria delle piante in presenza di particolari patogeni vale la regola di non utilizzare mai prodotti endoterapici come sistemici e citotropici che potrebbero compromettere irreparabilmente la simbiosi instauratasi nel corso del tempo tra pianta e fungo. Si consiglia quindi di contattare il tecnico per un sopralluogo.